Vale la pena leggtere questa lunga intervista del presidente dell'UDC, Pier Ferdinando Casini, che ha come oggetto centrale il progetto del partito per il dopo-elezioni regionali.
Un grande progetto di riconciliazione, che punti davvero a fare il bene dell'Italia e ad affrontare i tanti problemi che assillano il Paese e tutti i cittadini.
La mia idea è quella di lavorare da subito a questo progetto anche nel Lazio.
L'Italia, il Lazio, Roma, hanno bisogno di una grande forza moderata, responsabile, seria, che affronti i problemi.
Casini: "Un patto per la nuova Italia" 27 MARZO - Tutto quanto poteva servire a svuotare di significato questa campagna elettorale è stato fatto: dalle liste perse nei corridoi alle adunate nel segno del populismo. Eppure Pier Ferdinando Casini non si limita all'elencazione degli errori altrui ma rilancia il vero progetto dell'Udc per il dopo-Regionali. Lo fa attorno a una priorità, già scandita in ogni possibile occasione: «Riconciliazione nazionale». E ci crede al punto da rimodulare la colonna sonora del suo partito, quella del conflitto con la Lega: «Siamo avversali del leghismo e riteniamo sia meglio che il Carroccio perda qualche regione in più, così sarà più propenso a riflettere». Ciononostante, aggiunge, «se davvero si vuoi rimettere insieme questo Paese la riconciliazione nazionale passa anche per un confronto con la Lega. Da lunedì si comincia a discutere anche di questo». Non deve esserci sorpresa, spiega il leader dell'Udc, «perché il discorso della pacificazione, se ci si crede davvero e si ha davvero a cuore il Paese, impone anche un superamento di tutti gli steccati. Noi siamo pronti a superare i nostri, Bossi deve superare quelli che riguardano l'unità nazionale». D'altronde in queste elezioni gli steccati ci sono, si vedono: «Li ha messi in campo per primo Berlusconi, ma in fondo il suo attacco contro di noi è spiegabile».
«Con Berlusconi - continua Casini - ci siamo parlati assai prima di presentare le liste e, preso atto che noi non ci saremmo alleati con il Pdl in tutte le regioni, ci ha chiesto di evitare almeno accordi con il Pd. Gli ho risposto che invece li avremmo fatti, dove ci fosse sembrato giusto. Si è visto costretto a confermare l'accordo con noi nel Lazio, in Campania e in Calabria, altrimenti le avrebbe perse già prima di combattere. E questo ha dimostrato la debolezza del bipartitismo. Noi l'abbiamo fatta emergere». Casini non si nasconde di aver suscitato rancori in tutti e due i colossi d'argilla. Ma anche qui non gli interessa esasperare le divergenze. E anzi prova a spalancare quello che per ora è uno spiraglio, per esempio, sulle politiche familiari: «Ho intravisto una disponibilità incoraggiante in Tremonti a parlare di un nuovo welfare per le famiglie. Me ne rallegro e dico: siamo pienamente disponibili a studiare tutte le possibili soluzioni e ad incontrarci con un Tremonti che voglia realizzarle». Se c'è da scrivere una pagina nuova, dopo questa tormentatissima campagna elettorale, il leader del Centro vuole farlo secondo uno schema diverso, pacificatorio. Al limite anche rovesciato rispetto alle divisioni che pure ci sono con Pdl e Pd.
Stefano Folli le riconosce due meriti: aver interpretato bene il ruolo di forza moderata ed essersi fatto carico del discorso sulla riconciliazione. Ma nell'intervista pubblicata da liberal aggiunge che a ricucire deve essere anche la Lega. Se Bossi vuole le riforme, dice, deve ricomporre il rapporto con l'opposizione.
Come le ho detto, noi faremo di tutto per contrastare la Lega, ma vogliamo ricucire il Paese con tutti, anche con il partito di Umberto Bossi. Perché l'Italia sta drammaticamente avvitandosi in una spirale di odi contrapposti, di lotte corporative, territoriali, sindacali. E la Lega appunto, se perderà qualche regione in più sarà anche più facilitata a riflettere. Certo non dobbiamo indurla in tentazione perché se vince ovunque il rischio è che alzi sempre la posta e si vada veramente verso una disgregazione nazionale.
Anche perché con il controllo delle regioni sommato al federalismo, molti nel Carroccio già vedono una secessione di fatto.
Noi il federalismo non l'abbiamo votato. E oggi pero i nodi vengono al pettine: siamo stati gli unici a dire che, disegnato così, quel modello è un castello di carta, un insieme di buoni propositi che si infrangono sulla realtà. Al dunque si arriverà con i decreti attuativi: che potranno essere o un colpo di piccone sull'unità nazionale o la base di un federalismo solidale che lascia aperte le speranze.
A proposito di speranze: Tremonti dice che non si può intervenire su nulla, poi però con i singoli candidati, Polverini in primis, l'Udc riesce a mettere sul tavolo il quoziente familiare, e ora anche Alemanno mostra interesse.
Ripeto, ho colto in Tremonti alcuni passaggi sulla riforma fiscale che mostrano attenzione alla famiglia. Secondo me è importantissimo, noi non faremo cadere questa disponibilità. Ne ho già parlato con Bonanni l'altro giorno: io ritengo fondamentale avvicinarsi al quoziente familiare in tutte le forme possibili. C'è tutta la disponibilità mia e dell'Udc a incamminarsi nell'impresa. Se Tremonti ha il coraggio di andare avanti su questa strada ci incontrerà.
In un editoriale sul Corriere, Angelo Panebianco indica nel tremontismo una delle evoluzioni possibili nel momento in cui uscirà di scena Berlusconi.
Parliamoci chiaro, per ora il tremontismo è solo un'espressione, nel senso che il ministro dell'Economia sta cercando di tenere i conti in ordine, e non è un merito da poco. Il resto è fumisteria. Ciò non vuoi dire, ribadisco, che il suo sforzo di tenere i bilanci in ordine sia una cosa poco importante.
Resta irrisolto un nodo, per il Pdl: quello dei ceti medi, illuminati sedici anni fa dalla discesa in campo di Berlusconi e ora delusi, smarriti.
Una cosa è certa: queste Regionali non possono essere la prova generale per mandare a casa Berlusconi, perché sarebbe assolutamente demenziale: Berlusconi deve governare. La possibilità di un'alternativa efficace è solo nel fatto che questa legislatura si consumi con tutte le sue contraddizioni. Vada avanti e governi, questo è quello che deve fare. Il resto sono chiacchiere. Fra tre anni o il bipolarismo supera la prova perché Berlusconi governa bene, oppure implode tutto. Quando si dice che noi facciamo un investimento per il futuro si intende una cosa molto semplice: se volevamo incassare qualche vantaggio, stavamo nel governo con Berlusconi, o andavamo nelle giunte di sinistra. Non abbiamo fatto né l'una né l'altra cosa giocando la nostra carta nella politica nazionale. Ma tengo a chiarire un altro punto.
Prego.
Noi faremo un partito nuovo partendo da quello che c'è, che è l'Unione di centro: e per il dopo io penso a un rassemblement, non a un grande partito nella forma tradizionale. Ognuno mantiene la sua autonomia, poi tutte le forze politiche che vogliono aderire a un rassemblement più ampio lo possono fare. La Costituente di centro serve a rafforzare noi, a fare un Centro diverso e più forte. Ognuno a sua volta si organizzi, dopo possiamo ritrovarci insieme, con uno schema aperto, in cui nessuno è più ricattato da posizioni estremiste che non condivide.
Questo riguarda anche Fini?
Guardi, non cado nel gioco dei nomi e dei cognomi. L'appello che io lancio riguarda tutti coloro che pensano che la politica italiana debba recuperare dignità e serietà e che ci sia il bisogno storico di unirsi, dopo la "guerra civile" della Seconda Repubblica, per ricostruire questo Paese e assicurargli un futuro oggi chiaramente a rischio.
Facciamo il flashback di questa campagna elettorale: tanto scandalo per la posizione dell'Udc, alimentato soprattutto da Berlusconi, forse nasce dal fatto che l'Udc ha messo in campo una pratica da altri dismessa, cioè la politica: scelta dei candidati, dei programmi, delle singole alleanze.
Possiamo dirla anche così: dal suo punto di vista Berlusconi aveva ragione a non volerci, ma non era così forte da poterci non volere, se no perdeva sicuramente diverse regioni. E questo dimostra una cosa: il bipolarismo non funziona. Noi abbiamo scompaginato il tavolo che si erano apparecchiato Pd e Pdl. Loro erano persuasi che si dovesse entrare nelle parti predeterminate che avevano distribuito loro. Ripeto, me ne accorsi quando parlai con Berlusconi tre mesi fa e lui disse: "Voi o andate da soli o non è che fate alleanze con la sinistra, se no vi attaccheremo". Risposi: fate bene ad attaccarci. Pretendeva che fossimo vincolati o ad un'alleanza con lui o ad andare da soli. Una scelta di comodo, ma solo per lui. Sull'altro versante il Pd alla fine mirava alla stessa cosa, forse si aveva un po' più di pudore a dirlo perché capivano come per noi quella scelta fosse impossibile. Con le alleanze variabili abbiamo scompaginato il bipolarismo, esattamente quello che volevamo ottenere. Il fatto che Pdl e Pd sono stati obbligati ad accettarle pur non volendole è una prova di debolezza del sistema. Berlusconi ha intuito il pericolo ma non ha avuto la forza di arrivare alle estreme conseguenze. È emersa una mancanza di autosufficienza strutturale, per entrambi.
Ultima nota: in questa campagna elettorale si è fatta strada la tendenza a usare la parola "popolo" al posto di "partito", anche a sinistra, dal popolo viola a quello di Annozero.
Si è anche chiarita una cosa: le riforme così come le evoca Berlusconi sono un populismo che è molto lontano dall'idea di democrazia rappresentativa. E non mi convince Quagliariello quando sostiene che in fondo nelle democrazie moderne un certo grado di populismo è fisiologico: qui si rischia una deriva sudamericana se si evocano con tanta superficialità soluzioni come i gazebo. Non è una cosa seria: prima ancora che il contenuto, nel processo delle riforme è la modalità che conta. Una persona che si dice liberale come Quagliariello dovrebbe sapere che la forma è sostanza.
di Errico Novi, tratto da 'Liberal' del 27/03/2010